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La “secondary traumatization” è causata da un ripetuto confronto
con i dettagli di esperienze traumatiche senza però averli vissuti in prima persona.
È come se i sintomi della vittima primaria si trasferissero su una vittima secondaria
(Figley, 1995)
La guerra è uno dei più devastanti artifici umani. Ci sono le conseguenze visibili come le perdite umane e le città da ricostruire e poi ci sono le conseguenze invisibili (Solomon, 2020). Quest’ultime si annidano dentro la vittima e possono avere conseguenze immediate, rimanere dormienti fino alla comparsa di un trigger oppure possono trasmettere le proprie conseguenze a chi ha avuto la fortuna di non assistere direttamente agli eventi bellici.
Il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è il disturbo correlato al trauma per antonomasia ed è una psicopatologia che individui, che hanno vissuto un evento traumatico o violento, potrebbero sviluppare. A chiunque potrebbe capitare di entrare in contatto con questo tipo di eventi, come per esempio un’incidente stradale molto grave oppure un’aggressione; ci sono però individui più sfortunati che vivono a contatto con realtà sempre in guerra e di conseguenza chi vive in queste zone e più probabile che presenti psicopatologie inerenti al trauma. Secondo il manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali quinta edizione (DSM-5; APA, 2013) per porre la diagnosi di PTSD è necessario che la sofferenza psichica persista da più di un mese e che tale sofferenza stia impedendo il regolare svolgimento dell’attività lavorativa o sociale. Inoltre, vengono utilizzati alcuni dei criteri, i primi tre sono:
- Criterio A: esposizione ad evento traumatico (morte reale o minaccia di morte)
- Criterio B: presenza di uno o più sintomi intrusivi associati all’evento traumatico (reazioni dissociative o ricordi intrusivi)
- Criterio C: sintomi di evitamento persistenti derivanti dagli stimoli associati all’evento traumatico (evitamento di ricordi o di fattori esterni che rimandano al trauma)
Le esperienze traumatiche dei veterani di guerra possono avere pesanti conseguenze sullo sviluppo psicologico dei loro figli. I periodi dell’infanzia e dell’adolescenza rappresentano due tappe estremamente importanti per uno sviluppo psicologico normativo dell’individuo poiché è in queste due fasi che l’individuo fa suoi tutta una serie di principi e di risorse utili per la sua vita.
I sintomi del PTSD del genitore si possono trasmettersi al bambino portandolo ad avere a sua volta i sintomi del PTSD, questo fenomeno è chiamato “secondary traumatization”. (Canfield, 2014).
Riguardo questo fenomeno così sconosciuto come così oscuro e nocivo, Selimbasic et al. (2020) fecero uno studio su un campione di 120 studenti, di età tra i 10 e i 15 anni, provenienti dalla Bosnia Erzegovina. I padri di questi ragazzi erano veterani di guerra che sperimentarono svariati eventi traumatici e sintomi del PTSD durante il conflitto del 1992-1995.
I risultati mostrarono che i figli di personale militare che mostrava sintomi del PSTD avevano:
- Problemi comportamentali, in particolare problemi con le figure paterne, maschili e di riferimento/comando.
- Difficoltà di regolazione emotiva, come può essere l’ipo-regolazione o il suo opposto l’iper-regolazione.
- Elevati livelli di distress, il quale essendo la “facciata” negativa dello stress può portare l’individuo ad essere più predisposto a malattie organiche come possono essere infarti o ictus, questa predisposizione viene anche definita come coronaropatia.
Il fenomeno di cui stiamo parlando porta il bambino ad avere sintomi di evitamento molto forti e pesanti ricordi intrusivi. I veterani hanno il forte desiderio di comunicare con i loro bambini riguardo a quello che hanno passato per colpa della guerra e quello che stanno passando per colpa del PTSD ma tuttavia non ci riescono. Come qui sopra descritto chi soffre di tale psicopatologia tende ad evitare tutto ciò che è inerente al trauma; infatti, i veterani lamentano che nelle loro famiglie ci sono problemi di comunicazione (Sherman et al., 2015).
Lester et al. (2010) fecero uno studio sulle famiglie dei membri del corpo dei Marines degli Stati Uniti d’America (USMC). Gli studiosi americani trovarono una correlazione tra la forza dei sintomi del PTSD dei genitori con l’ansia da separazione nei loro figli in età prescolare, così come un aumento di problemi nel comportamento dei figli già in età scolare. Il PTSD dei veterani che sono anche genitori è un forte predittore per lo sviluppo di psicopatologie nei loro figli, in conseguenza alla “secondary traumatization” (Selimbašic, 2020).
Come abbiamo potuto brevemente analizzare le tragiche conseguenze della guerra non finiscono nel momento in cui i fucili smettono di sparare, poiché in quel momento iniziano le conseguenze invisibili. Loro si annidano dentro coloro che tornano a casa, se ne hanno ancora una, e aspettano silenti il momento di ripresentarsi con tutta la loro dirompente forza. Per molti di coloro che tornano dalla loro famiglia la vera battaglia, quella con sé stessi, è appena cominciata e quasi sempre i soldati non hanno le risorse per affrontarla da soli. L’istituzione di percorsi di accompagnamento al riadattamento del soldato al ritorno a casa potrebbe prevenire l’utilizzo di strategie disfunzionali come il ciclo disfunzionale della “self-medication”. Con questa strategia il veterano cerca di alleviare i sintomi del PTSD attraverso l’abuso di sostanze alcoliche, questo nel breve termine funziona anche però poi nel lungo termine i sintomi del cupo compagno si ripresentano in maniera molto più impetuosa.
“La guerra esisterà ancora a lungo, probabilmente per sempre. Tuttavia il superamento della guerra, oggi come ieri, continuerà a essere la più nobile delle nostre mete.”
(Hesse, Lettere 1895-1962)
Di Filippo Cavalieri
filippopaolo.cavalieri01@icatt.it
Bibliografia
- American Pyschiatric Association (2015). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – quinta edizione. DSM-5. Raffaello Cortina, Milano.
- Canfield, J. (2014). Traumatic Stress and Affect Management in Military Families. Social Work in Mental Health, 12(5–6), 544–559. https://doi.org/10.1080/15332985.2014.899296
- Figley, C. R. (1995). Compassion Fatigue: Coping With Secondary Traumatic Stress Disorder In Those Who Treat The Traumatized. Sidran Insitutute; Towson, MD, USA: 1995. Pp. 3-28. https://api.taylorfrancis.com/content/books/mono/download?identifierName=doi&identifierValue=10.4324/9780203777381&type=googlepdf
- Lester, P., Peterson, K., Reeves, J., Knauss, L., Glover, D., Mogil, C., Duan, N., Saltzman, W., Pynoos, R., Wilt, K., & Beardslee, W. (2010c). The Long War and Parental Combat Deployment: Effects on Military Children and At- Home Spouses. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 49(4), 310–320. https://doi.org/10.1016/j.jaac.2010.01.003
- Selimbašić, Z. (2020). The Influence of Posttraumatic Stress Disorder of War Veterans on the Mental Status of Children and Younger Adolescents. PubMed, 32(Suppl 3), 364–366. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33030454
- Sherman, M. D., Larsen, J. F., Straits-Tröster, K., Erbes, C. R., & Tassey, J. R. (2015). Veteran–child communication about parental PTSD: A mixed methods pilot study. Journal of Family Psychology, 29(4), 595–603. https://doi.org/10.1037/fam0000124
- Solomon, Z. (2020). From the frontline to the homefront: the experience of Israeli veterans. Frontiers in Psychiatry, 11. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2020.589391

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