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Il fenomeno delle baby gang è complesso e manca di una definizione chiara, oltre a un’analisi e un monitoraggio sistematici. È presente nell’immaginario collettivo, sia per l’interesse mediatico – spesso ingigantito dalle dinamiche giornalistiche – sia perché esiste una reale incidenza del fenomeno. Tuttavia, è importante sottolineare che il fenomeno è più percepito come in aumento che realmente in crescita.
L’allarme percepito è legato alla giovane età dei membri e all’aggressività dei reati. Secondo lo United States Department of Justice, una baby gang è un’associazione di coetanei, formata da tre o più membri, prevalentemente maschi, di età compresa tra i 10 e i 22 anni, che utilizzano simboli di identificazione come vestiti, colori o slang. I legami si basano su amicizia, rispetto e solidarietà. Questi gruppi tendono a controllare un territorio di appartenenza, compiendo comportamenti delinquenziali individuali o collettivi – risse, percosse, lesioni, bullismo, vandalismo e, talvolta, furti o rapine – spesso senza un movente specifico. Le vittime sono prevalentemente coetanei.
La stampa nazionale tende a rappresentare il fenomeno come omogeneo, ma nel nostro Paese questi gruppi non hanno strutture rigide, gerarchiche o stabili nel tempo. Anzi, sono gruppi fluidi, spesso composti da membri di differenti classi sociali, e caratterizzati da comportamenti impulsivi e non premeditati, distinguendosi dai modelli consolidati in altri Paesi. Non si tratta di un fenomeno limitato a ragazzi di seconda generazione o provenienti da contesti socio-economici marginali: può coinvolgere anche ragazzi italiani di classi sociali più elevate. I reati non sempre hanno scopo di profitto, ma rappresentano talvolta atti simbolici verso coetanei considerati “più fortunati”.
Il fenomeno è strettamente legato ai social network, che servono da strumenti di comunicazione interna e possono diffondere modelli violenti, emulati per ottenere riconoscimento e consenso. I social rafforzano l’identità di gruppo, favoriscono l’autoaffermazione e, in alcuni casi, la deresponsabilizzazione. Anche quando l’emulazione è simulata, contribuisce a creare un clima di ostilità che incentiva comportamenti violenti come ulteriore ricerca di riconoscimento.
Per quanto riguarda l’eziologia, questo fenomeno è multifattoriale, con cause molteplici e non lineari. La sua natura puntiforme rende difficile individuarne un’unica eziologia.
Le periferie urbane, spesso segnate da marginalità sociale, povertà e scarsità di servizi, non offrono spazi educativi, culturali o ricreativi in grado di coinvolgere i ragazzi in attività strutturate. In queste zone, le disuguaglianze territoriali sono particolarmente evidenti: ai margini della città si concentrano carenza di presidi sociali e distacco rispetto ai quartieri più benestanti, con cui coesistono in un contrasto quotidiano e spesso percepito come ingiusto dai giovani residenti. La percezione del quartiere diventa così parte integrante della loro identità: può rappresentare un motivo di orgoglio e appartenenza, ma allo stesso tempo diventa un elemento di contrapposizione verso l’esterno.
Le periferie urbane, spesso segnate da marginalità sociale, povertà e scarsità di servizi, non offrono spazi educativi, culturali o ricreativi capaci di coinvolgere i ragazzi in attività strutturate. In queste aree le disuguaglianze territoriali risultano particolarmente evidenti: ai confini della città si concentrano povertà, mancanza di presidi sociali e un forte distacco rispetto ai quartieri più benestanti, con cui convivono in un contrasto quotidiano spesso percepito come ingiusto dai giovani residenti. La percezione del quartiere diventa così parte integrante della loro identità: può rappresentare un motivo di orgoglio e appartenenza, ma anche un fattore di contrapposizione nei confronti dell’esterno.
In questi contesti, caratterizzati frequentemente da abitazioni sovraffollate o precarie, i giovani trascorrono gran parte del loro tempo negli spazi pubblici. La strada diventa il principale luogo di socializzazione, sostituendo in modo informale le istituzioni educative e, in alcuni casi, anche il supporto familiare. In assenza di spazi organizzati per l’incontro, il gioco e l’apprendimento, l’ambiente stradale finisce per assumere un ruolo centrale nella formazione delle relazioni tra coetanei.
Un ulteriore elemento riguarda la mancanza di piena cittadinanza sociale, che colpisce in particolare le seconde generazioni. Questi ragazzi, pur essendo nati o cresciuti nel Paese, non si sentono pienamente riconosciuti né dalle istituzioni né dal contesto sociale. In assenza di spazi integrativi e di un reale senso di appartenenza, la banda può trasformarsi in un luogo sostitutivo, in cui cercare riconoscimento, visibilità e protezione.
Il contesto familiare gioca un ruolo decisivo: in molte situazioni i giovani vivono dinamiche disfunzionali caratterizzate da scarsa comunicazione, assenza di sostegno emotivo e controllo genitoriale debole o inesistente. La mancanza di supervisione li espone a gruppi di coetanei devianti, mentre l’incapacità dei genitori di offrire un adeguato supporto educativo o di seguire il percorso scolastico dei figli aumenta il rischio di abbandono degli studi e di ingresso in circuiti di marginalità.
I cambiamenti sociali degli ultimi decenni hanno poi reso molte famiglie più vulnerabili: la crescita delle separazioni, la maggiore instabilità delle unioni e l’indebolimento del dialogo intergenerazionale hanno reso più difficile per i genitori esercitare un ruolo educativo efficace e fornire ai figli la guida necessaria per affrontare le sfide adolescenziali.
Un’altra componente cruciale è rappresentata dal rapporto con la scuola. Numerosi adolescenti che finiscono nelle baby gang mostrano relazioni problematiche con l’istituzione scolastica, vissuta come un ambiente ostile o privo di significato. La dispersione scolastica, l’abbandono precoce e i bassi livelli di istruzione riducono drasticamente le opportunità future, alimentando la percezione di non avere alternative concrete.
I membri che fanno parte di una baby gang si riconoscono come simili e consapevoli della loro appartenenza al gruppo anche sul piano affettivo ed emotivo. Questo processo richiama quanto descritto da Tajfel e Turner (1979) nella teoria dell’identità sociale: l’individuo costruisce parte della propria identità attraverso il gruppo a cui sente di appartenere. In questa prospettiva, il gruppo diventa determinante nello sviluppo delle baby gang. Molti ragazzi trovano nel “branco” ciò che manca nei contesti istituzionali: appartenenza, protezione, riconoscimento e un’identità definita. La banda non solo offre sicurezza, ma legittima anche comportamenti devianti, proponendo regole alternative, uno status condiviso e la sensazione di far parte di qualcosa di importante. Per molti adolescenti isolati o privi di sostegno familiare, questa forma di appartenenza sostitutiva diventa irresistibile e difficile da abbandonare.
Inoltre, i fattori individuali contribuiscono allo sviluppo di comportamenti devianti durante l’adolescenza, periodo in cui si costruisce l’identità e si definisce il proprio ruolo nella società. I giovani possono essere spinti a cercare emozioni intense e situazioni ad alto rischio, talvolta come compensazione per sentimenti di solitudine o marginalità. Esperienze avverse durante l’infanzia possono favorire l’insorgenza di atteggiamenti violenti, che talvolta si manifestano con maggiore intensità o gratuità. Tuttavia, questi fattori non determinano inevitabilmente la devianza: il loro effetto dipende dalla combinazione e dall’intensità dei diversi elementi, evidenziando la complessità dei percorsi individuali.
Queste dinamiche influenzano anche il modo in cui gli adolescenti gestiscono emozioni come rabbia e aggressività. Tratti tipici di questo momento della vita, come ribellione, trasgressione e conflitto, possono emergere precocemente insieme a comportamenti antisociali o rabbia repressa. In questo contesto si colloca il concetto di “analfabetismo emotivo”, così come lo descrive Don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto penitenziario minorile Cesare Beccaria e fondatore della comunità Kayros:
«Quando questi ragazzi agiscono, tendono a non vedere la persona che hanno di fronte, ma gli oggetti che questa possiede. Diventano predatori perché non riescono a sentire i sentimenti dell’altro».
La mancanza di empatia e l’oggettificazione della vittima possono rendere alcuni giovani “anestetizzati”, mentre l’aggressività appare spesso come comportamento appreso piuttosto che impulso incontrollabile. Dietro la maschera della violenza può celarsi un profondo disagio, mentre la rabbia generazionale riflette una protesta contro un sistema percepito come assente o repressivo, evidenziando l’ambivalenza di un’emozione che può essere sia distruttiva sia trasformativa.
Dal momento che, si tratta di un fenomeno multifattoriale, è fondamentale intervenire con la stessa modalità sul trattamento. Attualmente, le misure attuate quando questi fenomeni ricevono attenzione giudiziaria sono prevalentemente repressive e, nella maggior parte dei casi, inefficaci. Un’alternativa interessante e più educativa è rappresentata dalla messa alla prova: misura post-reato che, basata sulla fiducia e su percorsi rieducativi e di volontariato, consente l’estinzione del reato in caso di esito positivo.
Tuttavia, è altrettanto importante agire in via preventiva, riducendo il fenomeno alla radice. Scuola, comunità e famiglia devono essere al centro dell’azione educativa, attraverso la cooperazione tra istituzioni scolastiche, enti locali, servizi sociali, parrocchie e associazioni, nonché il coinvolgimento attivo delle famiglie. La devianza giovanile è spesso legata all’assenza di opportunità e al senso di esclusione, mentre creare un ambiente protettivo, basato sulla conoscenza del contesto giovanile, permette di offrire percorsi di crescita e cittadinanza attiva.
Il ruolo degli adulti è centrale: investire su genitori e figure significative, rafforzare le capacità di riconoscere precocemente segnali di disagio e promuovere relazioni educative positive contribuisce a prevenire comportamenti devianti. A livello individualizzato, interventi come il supporto alla genitorialità, la mediazione familiare, percorsi formativi per ridurre l’abbandono scolastico, laboratori sui valori condivisi, educatori di strada e centri di aggregazione giovanile offrono strumenti concreti per intercettare i ragazzi a rischio e proporre alternative alla vita di banda. Attività culturali, artistiche, laboratoriali e sportive favoriscono il senso di appartenenza, la socializzazione, la responsabilizzazione e la gestione dell’aggressività.
La scuola assume un ruolo strategico nella prevenzione, nella gestione dei conflitti e nello sviluppo emotivo dei giovani, contribuendo al contrasto della dispersione scolastica e alla costruzione di competenze utili per la vita. Anche la riqualificazione urbana e la cura degli spazi pubblici possono ridurre vulnerabilità, insicurezza e opportunità criminose.
L’approccio più efficace resta quello integrato e multilivello, che consideri fattori familiari, sociali e Psicologici, combinando iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive e religiose, educazione alla legalità e promozione di forme alternative di impegno. Sostenere le famiglie, investire nella scuola e nei servizi sociali, ricostruire il dialogo tra adulti e adolescenti e coinvolgere i giovani nella costruzione del proprio futuro rappresentano le strategie chiave per trasformare il fenomeno delle baby gang in un’occasione di crescita educativa e comunitaria.
Emma Carletti
emma.carletti@yahoo.it
Bibliografia
PRINA F. (2019), Gang giovanili: perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire, il Mulino, Bologna.
Tajfel, H., & Turner, J. C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. In W. G. Austin, & S. Worchel (Eds.), The social psychology of intergroup relations (pp. 33-37). Monterey, CA: Brooks/Cole.
Criminalità minorile, non solo baby gang. Analisi del fenomeno dello “street bullying” – 08 giugno 2023 Istituto di Scienze Forensi Centro di Ricerca | Via Leonardo da Vinci n. 5 – 20094 Corsico (Milano) Tel. (+39) 02.3672.8310 | Email: centroricerca@unisf.eu | Web: www.unisf.eu
Sitografia
https://www.interno.gov.it/it/notizie/mappatura-nazionale-baby-gang-realta-aumento-italia
https://www.otto.unito.it/it/articoli/perche-lespressione-baby-gang-e-totalmente-fuorviante
https://www.stateofmind.it/2024/04/baby-gang-italia/
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