Hate Speech e Contro-narrative

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Ti è mai capitato di imbatterti in discorsi volti a insultare o a denigrare qualcun*? Ti è mai capitato di leggere commenti di odio verso un gruppo in cui ti senti rappresentat*? 

Si sta parlando del cosiddetto “hate speech” o, in italiano, linguaggio d’odio

Hannah Arendt nei suoi testi sostiene che l’odio è ciò che unisce i popoli: le persone si sentono unite quando hanno un nemico comune da poter odiare. 

Questo fenomeno purtroppo sta prendendo sempre più piede nella società attuale. In particolar modo, al giorno d’oggi, abbiamo la possibilità di usare un mezzo molto comune, alla portata di tutti: i social network. Queste piattaforme, che permettono la libertà di espressione anche con la possibilità di anonimato, sono divenute un problema sempre più rilevante negli ambienti online. 

Le persone si sentono legittimate a scrivere senza filtri quello che pensano, dimenticandosi a volte che dietro un account virtuale c’è sempre una persona reale. Si leggono e si sentono svariati discorsi di odio verso minoranze o categorie più fragili, nonostante gli insulti e l’inneggiamento all’odio (se non addirittura le minacce) siano punibili legalmente. 

In realtà non c’è una definizione univoca dell’hate speech nella giurisdizione italiana. Il consiglio d’Europa l’ha definito come: 

“ forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o più in generale l’intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano ” .

Lo stesso consiglio di Europa il 20 Maggio 2022 ha emesso delle linee guida per incoraggiare gli Stati membri a stabilire delle leggi per combattere questo fenomeno che può arrivare a configurarsi come una vera e propria violenza. Le linee guida pongono particolari attenzioni al contesto online, anche se molti studiosi ritengono che non vi sia la necessità di una distinzione dell’hate speech online da quello offline. Secondo un articolo pubblicato dal Sole 24 Ore, la categoria più colpita dai discorsi d’odio online sono proprio le donne, a cui fanno seguito lepersone disabili e omosessuali. Lo stesso riporta inoltre le gravi conseguenze psicologiche che possono portare tali discorsi quali depressione, ansia e disturbi alimentari. 

Le narrative postate online possono rappresentare delle argomentazioni tese a rafforzare posizioni e a legittimare azione. Quindi possono fornire un ventaglio di argomentazioni e di motivazioni che possono arrivare perfino a giustificare e legittimare un comportamento teso alla violenza. 

E l’altra faccia della medaglia? 

La tecnologia online per fortuna permette la narrazione di racconti ed esperienze vissute, oltre alla possibilità di ricevere un supporto emotivo e un sostegno da parte di altri utenti. La cosiddette “contro-narrative” sono “storie che le persone raccontano e vivono, e che oppongono resistenza, implicitamente o esplicitamente, alle narrative culturali dominanti”. Si ha così la possibilità di decostruire e offrire alternative alla rappresentazione dominante, descrivendo esperienze individuali o di gruppo che non si adattano alle narrative principali. Spesso derivano da membri di minoranze o gruppi svantaggiati che permettono di modificare o introdurre maggior complessità e prospettive alle narrazioni esistenti. Possono così rappresentare strumenti di elezione in interventi volti a ridurre la violenza e a promuovere il benessere. 

Di Irene Turri

irene.turri12@gmail.com

Bibliografia

Arcidiacono, C., De Piccoli, N., Mannarini, T., Marta, E. (a cura di). (2021). Psicologia di comunità: prospettive e concetti chiave (vol. I) , Franco Angeli. 

Arendt H. (2013). La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli. 

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