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Sono abbastanza convinto che ognuno di noi almeno una volta nella vita abbia sentito la frase: “lui/lei è proprio la pecora nera della famiglia!”. Tendenzialmente con quest’espressione si intende quel membro della famiglia che va controcorrente infrangendo le regole, colui che spesso delude le aspettative familiari e che “parla più del dovuto” mettendo spesso in atto comportamenti anche aggressivi.
Visto però la frequenza con cui ci si imbatte in questo fenomeno verrebbe da chiedersi se sia corretto identificare quella persona come la “pecora nera della famiglia” appunto, come se avesse delle caratteristiche personali per non dire genetiche, come spesso erroneamente si pensa, che portino quella persona a comportarsi così male differentemente da quanto gli altri nella famiglia si aspettano da lei.
È indubbio ormai che questo tipo di pensiero, rispetto ad una persona che pensiamo essere il portatore dei problemi, in realtà non trovi minimo riscontro in una realtà complessa come la famiglia dove le interazioni presenti affondano le radici in una trama relazionale pregna di significati inconsci in cui si trova la storia personale che ogni membro porta con sé.
Il primo che cercò di identificare questo pattern (uno schema ricorrente) fu Gregory Bateson il quale descrisse la “pecora nera della famiglia” come il “Paziente Designato”.
Per riuscire a comprendere pienamente questo concetto è necessario però fare un passo indietro e inquadrare il contesto teorico che ha permesso di arrivare a tale teoria.
Ci troviamo infatti negli anni 50 del 900 nel mondo della psicoterapia sistemica di cui Bateson fu uno dei fondatori all’interno della scuola di Palo Alto nel quale la famiglia veniva considerata non come un agglomerato di individui bensì una totalità, ed in particolare un sistema omeostatico capace quindi di una regolazione automatica che permette al sistema di correggersi e tornare allo stato originario ogni volta che un fenomeno esterno cerca di rompere gli equilibri presenti nel sistema. La famiglia, infatti, in questa scuola di pensiero è caratterizzata da una serie di caratteristiche comuni a tutti sistemi sia naturali che artificiali:
– non sommatività: il sistema non è riducibile, come abbiamo detto, alla somma delle sue parti ma va a creare una totalità con delle proprie caratteristiche uniche;
– circolarità: in ogni famiglia vengono osservati dei pattern comportamentali che si ripetono e nella quale è impossibile identificare un fattore scatenante A e una conseguenza B proprio perché la complessità delle interazioni all’interno del sistema impediscono di trovare una casualità lineare, bensì una causalità circolare;
– retroazione: quando è presente un’interazione l’azione di A su B non si ferma ma continua con l’azione che B compie per reagire (feedback) che può essere negativo o positivo.
Ciò che è importante sottolineare è che spesso questi schemi tendono a ripetersi fino ad arrivare ad una vera e propria cristallizzazione e a creare quindi delle modalità di interazione automatiche che la famiglia mette in atto nel QUI e ORA.
Ma perché era così necessario questo preambolo teorico?
Perché solo comprendendo il bisogno che il sistema ha di mantenere l’equilibrio nonostante ci possano essere molte situazioni in grado di distruggerlo, capiamo perché spesso c’è un membro che si fa portavoce di tutti i problemi. E indovinate chi è costui così coraggioso e temerario? Il paziente designato o pecora nera, come preferite voi.
In questa visione che si concentra sul sistema più che sui singoli individui, infatti, la sofferenza ha una sua natura contestuale (e non individuale come in molto altri modelli teorici) che affonda quindi le sue radici nel sistema familiare e non è altro che una manifestazione di quella sofferenza contestuale di cui abbiamo parlato che trova espressione nel paziente designato.
Il paziente designato quindi è colui che assume su di sé l’intera sofferenza della famiglia per cercare di mantenere quell’equilibrio, è colui che viene preso dalla famiglia come caprio espiatorio diventando l’unico problema della famiglia. È proprio in questo modo infatti che i conflitti interni e le sofferenze presenti nel sistema familiare vengono messe in secondo piano da ciò che il paziente designato porta in superficie come un suo problema che però sappiamo bene essere solo una manifestazione di una sofferenza più grande, che trova fondamento nel sistema familiare.
Sotto questa prospettiva diventa interessante notare come il sintomo che viene portato all’attenzione di tutta la famiglia dal portatore del sintomo appunto acquista la funzione di proteggere il sistema sacrificando ovviamente il proprio benessere. Il problema che viene infatti portato all’interno del contesto terapeutico viene considerato come il prodotto delle dinamiche interne al sistema familiare. Dall’altro lato però è necessario osservare come spesso anche dal punto di vista del paziente designato acquisire questo ruolo abbia dei vantaggi rispetto alla paura di dover portare la famiglia verso un cambiamento, è proprio questo infatti il contesto nel quale il sintomo prospera senza ostacoli.
Un esempio che possa farci comprendere tale dinamica risiede nella natura spesso presente dei disturbi alimentari nel quale un figlio che soffre di anoressia rappresenta la modalità attraverso cui i genitori distolgono l’attenzione dai propri problemi per concertarsi sulla preoccupazione per il disturbo che ha il potere di tenere unita la famiglia. Un altro sintomo portato dal paziente designato è spesso la depressione che rappresenta l’unico modo per continuare a dare la possibilità ai genitori di avere un ruolo di accudimento, e dal punto di vista del figlio, un modo per non fare delle scelte e assumersi le proprie responsabilità.
È sotto questa prospettiva che la terapia sistemica ha come obiettivo quello di comprendere il significato relazionale del sintomo così da poterlo sostituire con modalità adattive attraverso la relazione con il paziente che diventa l’entrata con cui accedere alle dinamiche interne del sistema e con cui orientare il processo terapeutico, con la prospettiva di rendere il sintomo non più necessario a mantenere quell’omeostasi a cui la famiglia è così legata, e permettendo così al paziente di ritrovare la propria libertà.
Come spesso la psicologia ci insegna infatti, tutto ha un significato: ogni parola, ogni comportamento sono portavoce di qualcosa di più grande che necessita di essere compreso con il tempo non fermandosi mai a leggere la realtà per come ci appare bensì immergendoci in essa e cercando di comprenderne i suoi significati più nascosti. Costa fatica, ma sarà forse l’ora di iniziare a tingere le pecore nere che conosciamo con un colore che assomigli di più al coraggio?
Di Edoardo Cancellieri
edo05cance@gmail.com
Sitografia
https://www.centropagina.it/benessere/cosa-serve-stare-male-significato-relazionale- sintomidisturbi-psicologici/
https://www.stateofmind.it/2019/07/psicoterapia-sistemica/#:~:text=Psicoterapia%20sistemica%3A%20il%20modello%20Mental%20Research%20Institute&text=Esso%20si%20basava%20su%20una,dal%20sintomo%20costituiva%20 il%20problema.

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