La Shoah: i fenomeni psicologici alla base del genocidio

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Secondo la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 (Risoluzione 260 A (III)), il genocidio è definito come: “Qualsiasi atto commesso con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale, mediante:

  1. Uccisione di membri del gruppo
  2. Lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo 
  3. Sottoposizione intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza che comportino la sua distruzione fisica, totale o parziale
  4. Misure che impediscano la nascita di bambini all’interno del gruppo
  5. Trasferimento forzato di bambini da un gruppo a un altro.”

Oggi, tutti sono a conoscenza della tragica vicenda della Shoah, la persecuzione sistematica della popolazione ebraica che ha comportato l’assassinio di oltre 6 milioni di ebrei verificatasi durante la Seconda Guerra Mondiale ad opera del regime nazista tedesco e dei suoi alleati. Tuttavia, non tutti conoscono i fenomeni psicologici alla base di un atto cosi feroce e disumano. 

Il pregiudizio è un fenomeno fondamentale alla base del genocidio. Il pregiudizio è un atteggiamento generalmente negativo e preconcetto su un gruppo e sui suoi membri che può portare, in determinati casi, anche alla discriminazione, un comportamento negativo non giustificato verso un gruppo e i suoi membri. 

Un’altra delle dinamiche chiave nel genocidio è stata la deumanizzazione della vittima. Questa consiste nell’identificare un determinato individuo o gruppo come inferiore e privo di dignità umana, riducendo l’empatia, facilitando e giustificando l’uso della violenza contro di esso. La propaganda nazista, infatti, aveva dipinto gli ebrei come “parassiti”, “infetti” e “sotto-uomini”. Esistono diversi tipi di deumanizzazione tra cui l’oggettivazione, che consiste nel considerare le persone appartenenti a un gruppo sociale alla stregua di oggetti; e l’infraumanizzazione, fenomeno per cui i membri di un gruppo etichettano come “meno umani” coloro che non ne fanno parte.  

La deumanizzazione è un processo che si articola in più fasi, quali:

  1. L’instaurazione della paura: instillare paura nelle vittime, in modo tale da facilitare l’oppressione e l’assunzione del controllo.
  2. L’esclusione morbida: l’allontanamento delle vittime da alcuni settori della società, grazie al quale l’ideologia che detiene il potere assume legittimità nel gruppo sociale. Alcuni esempi furono l’esclusione degli ebrei dalle cariche pubbliche e il divieto di ingresso agli ebrei in determinati luoghi
  3. La giustificazione della paura e dell’esclusione: il gruppo al potere utilizza i media e la ricerca documentata per fornire prove che giustifichino il motivo dell’esclusione.
  4. L’esclusione dura: consiste nell’incoraggiamento della popolazione a considerare il gruppo emarginato come fonte dei problemi della società, cosi da escluderlo dalla società civile e privarlo dei diritti umani.
  5. Lo sterminio: le vittime vengono espulse dalla società per essere trattate come “non umane” o per essere sterminate. Gli ebrei vennero deportati nei campi di concentramento

Un altro fenomeno psicologico alla base di tale avvenimento storico, è la deindividuazione, concetto introdotto dallo psicologo Gustave Le Bon che indica lo stato psicologico nel quale le persone vedono se stesse solo nei termini di un’identità di gruppo e il loro comportamento è guidato solo dalle norme dello stesso. Si verifica una perdita di controllo che porta l’individuo a compiere azioni connotate da un altissimo livello di negatività che non avrebbe messo in atto se fosse stato da solo. La presenza del gruppo qualifica delle condotte negative come lecite, permettendo alla persona di sentirsi al sicuro nell’errore e dando una giustificazione allo stesso.

Si individua anche il fenomeno dell’etnocentrismo, ovvero il credere nella superiorità etnica e culturale del proprio gruppo e avere un corrispondente disprezzo per gli altri gruppi. I nazisti, infatti, avevano una bassa considerazione degli ebrei, autogiustificando cosi le loro azioni.

Una volta iniziate le violenze molti soldati si abituarono all’idea di uccidere grazie a un processo psicologico di desensibilizzazione, un tipo di distanziamento emotivo che permise loro di partecipare a questi crimini senza una forte reazione emotiva. Il ripetersi di azioni violente in modo sistematico e il distacco emotivo dalle vittime contribuì alla creazione di una cultura in cui l’omicidio di massa divenne più facilmente accettato.

Durante periodi di crisi economica e sociale, come durante la Seconda Guerra Mondiale, i regimi autoritari spesso cercano un capro espiatorio, qualcuno a cui attribuire tutta la responsabilità di malefatte, errori o eventi negativi e che ne subisca le conseguenze (gli ebrei, già oggetto di pregiudizi e discriminazioni, furono accusati di essere responsabili della povertà, della sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale e del malessere sociale). Questo meccanismo psicologico di proiezione permette alla società di trasferire la colpa di una situazione negativa su un gruppo vulnerabile.

La norma dell’obbedienza all’autorità è il modo di pensare condiviso da un gruppo che si basa sull’opinione secondo la quale le persone devono obbedire ai comandi impartiti da una persona dotata di un’autorità legittima. Quest’ultima evidenza come gli individui siano disposti a compiere atti crudeli se autorizzati da una figura di autorità. Questo fenomeno fu studiato da Milgram con degli esperimenti considerati poi controversi. Egli testò ciò che succede quando le richieste di un’autorità entrano in collisione con quelle della coscienza di chi riceve la richiesta.

I meccanismi alla base di un atto cosi osceno come il genocidio sono innumerevoli e non giustificheranno mai ciò che è accaduto in passato e che accade ancora oggi. Tuttavia, comprendere in parte che cosa può portare gruppi di individui a compiere azioni cosi riprovevoli può aiutare a far si che eventi di tale genere si verifichino sempre meno.

Di Marta Ficarra

ficarra.marta@gmail.com

Bibliografia

Una replica a “La Shoah: i fenomeni psicologici alla base del genocidio”

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