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Quante volte ci è capitato di sentire la frase: “È una questione di genetica, non si può cambiare” rispetto a tematiche riguardanti il nostro modo di pensare, di agire e di vivere le emozioni? Questa affermazione riflette l’idea che la mente, o il cervello, una volta formati, siano immutabili. Tuttavia, questa concezione è ormai superata e ha lasciato spazio al concetto di “neuroplasticità”, ovvero la capacità del cervello di modificarsi nel corso della vita per adattarsi agli stimoli esterni.
Per molto tempo si è ipotizzato che il cervello crescesse e si modificasse solo fino ad una certa età, dopo la quale la struttura cerebrale sarebbe rimasta invariata per il resto della vita.
Questa ipotesi è rimasta in auge fino a quando diversi studi neuroscientifici hanno messo in luce come questa idea di mente fissa e immutabile fosse errata. Oggi sappiamo, infatti, che il nostro cervello può “essere modellato” dalle nostre esperienze, dalle relazioni che intessiamo e dallo stile di vita che adottiamo.
Quando parliamo di neuroplasticità, nello specifico, ci riferiamo alla capacità del nostro cervello di creare nuove connessioni neuronali attraverso il processo di “sinaptogenesi”. I neuroni del nostro cervello quando vengono stimolati in modo adeguato possono interagire tra loro, creando delle connessioni nuove o rafforzando delle connessioni già esistenti rendendole più veloci ed efficienti. Tuttavia, se le connessioni neuronali non vengono utilizzate per lungo tempo possono indebolirsi o venire persino eliminate. Ma cosa attiva questo meccanismo? La creazione di connessioni neuronali è il risultato di esperienze quotidiane, dell’apprendimento e dell’esposizione a nuovi stimoli. Questi processi non solo permettono di creare o rafforzare i legami sinaptici, ma possono anche produrre cambiamenti morfologici nel cervello, come l’aumento dello spessore della corteccia cerebrale in alcune aree. Sappiamo, a questo proposito, che nelle persone bilingue la corteccia parietale inferiore sinistra ha un volume maggiore rispetto a quella di coloro che conoscono una sola lingua. Questo fenomeno si spiega con la formazione di un maggior numero di connessioni neuronali legate all’uso della seconda lingua.
Inoltre, i fenomeni di neuroplasticità sono alla base dei processi di apprendimento e memoria. Ci permettono di immagazzinare ricordi, schemi motori e nuove conoscenze. A questo proposito, è necessario sottolineare che quando i neuroni creano nuove connessioni lo fanno in modo indiscriminato, non scegliendo se lo stimolo, situazione o esperienza vissuta, sia positivo o negativo. Questo porta spesso alla creazione di connessioni anche rispetto a circostanze negative ripetute nel tempo. Le modificazioni cerebrali che derivano da queste esperienze negative possono essere una delle probabili cause di alcuni disturbi psicologici come ansia e depressione.
Riguardo a questi due disturbi, caratterizzati, ad esempio, da ruminazione mentale e credenze svalutanti, la psicoterapia, in particolare quella cognitivo-comportamentale, si è rivelata in grado di modificare i circuiti neuronali associati a queste risposte non adattive, sfruttando al meglio i fenomeni di neuroplasticità. La psicoterapia, ad esempio, tra i suoi obiettivi ha proprio quello di dare alla persona la possibilità di divenire consapevole di determinate risposte a determinati stimoli e di trovare delle strategie di coping per affrontare in modo ottimale esperienze o eventi negativi. In questo modo, attraverso un percorso terapeutico, è possibile modificare con il tempo determinati pattern di comportamento e pensiero disfunzionale, influenzando così le connessioni neuronali sottostanti e, di conseguenza, la struttura stessa della mente. Numerosi studi sono riusciti a confrontare il cervello prima e dopo un intervento psicoterapeutico attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI) che ha accertato l’efficacia della psicoterapia nel modificare determinate aree cerebrali. In particolare, nel caso del trattamento della depressione si è stati in grado di osservare cambiamenti nelle zone delle aree frontali e limbiche con una sostanziale differenza rispetto all’attività dell’amigdala. Quest’ultima, responsabile dell’attribuzione di emozioni ai ricordi, riveste un ruolo centrale nel processo terapeutico. Questi studi ci danno conferma che grazie alla modifica di emozioni, comportamenti e pensieri disfunzionali si è in grado di cambiare la struttura del proprio sistema nervoso.
Tutte queste considerazioni oltre a farci ragionare sulla possibilità di poter modificare la nostra mente aprono gli orizzonti anche a delle riflessioni che riguardano il modo con cui pensiamo, alla nostra identità e anche al modo con cui guardiamo la realtà che ci circonda. Se, infatti, per molto tempo abbiamo conservato l’idea che la mente, e così l’uomo, fossero immutabili, questa scoperta, a metà tra le neuroscienze, la psicologia e la filosofia, ci dà la possibilità di scardinare questa concezione e rivedere l’idea che abbiamo di noi stessi rispetto al futuro in cui ci immaginiamo, restituendoci quel dinamismo di cui siamo portatori. La filosofa Catherine Malabou riflette sul concetto di plasticità soffermandosi sulla “plasticità temporale” ovvero sulla capacità che il tempo ha di dare forma al nostro corpo, al nostro pensiero attraverso la nostra esperienza e il nostro vissuto ma soprattutto di come anche noi diamo forma al tempo attraverso una “temporalità propria” data dalla nostra singolarità e dalla nostra percezione e visione del mondo. L’idea quindi che l’ambiente e la nostra soggettività siano in grado di modellare in senso letterale la nostra mente ci mette davanti alla responsabilità che abbiamo verso noi stessi in quanto capaci di cambiare e dare direzione alla nostra vita in qualsiasi fase del nostro percorso, ma soprattutto rispetto alla molteplicità di possibilità che abbiamo di considerare e riconsiderare la nostra identità in modo continuo.
In questo senso quando parliamo di plasticità e in particolare di neuroplasticità ci riferiamo sì alla capacità e anche alla responsabilità che abbiamo rispetto all’essere co-creatori insieme alla realtà in cui siamo immersi ma anche alla possibilità di rielaborare le nostre esperienze, le nostre gioie, le nostre sofferenze attraverso nuovi significati che siano in grado di cambiare il nostro agire, la nostra modalità di vivere e sentire. Questa scoperta, oltre ad aprire la strada a nuove ricerche e a continue innovazioni in ambito scientifico e medico, ci mette davanti ad una nuova idea di realtà. La realtà, le relazioni, le esperienze, i ricordi, i pensieri futuri, le nostre emozioni possono cambiare, sta solo a noi decidere di esserne consapevoli e sfruttare questa meravigliosa opportunità.
Di Edoardo Cancellieri
edo05cance@gmail.com
Sitografia
- https://www.ilsole24ore.com/art/cervello-e-neuroplasticita-come-ristrutturare-collegamenti-neurali-base-comportamenti-disfunzionali-AFerOsoB
- https://www.angeloscordo.it/2020/10/03/plasticita-cerebrale-come-lapprendimento-cambia-il-cervello/
- https://www.stateofmind.it/2024/02/neuroplasticita-psicoterapia-effetti/#:~:text=Questi%20cambiamenti%20e%20deficit%20neuroplastici,di%20pensiero%20ripetitivo%20e%20negativo
- https://www.stateofmind.it/neuroplasticita/
- https://www.psicoattivo.com/plasticita-cerebrale/
- https://cris.unibo.it/handle/11585/548851/
- https://psicologiaxtutti.it/come-lesperienza-plasma-il-nostro-cervello/
- https://www.irppiscuolapsicoterapia.it/la-neuropsicanalisi-per-lo-studio-della-mente-umana/?utm_source=chatgpt.com
- https://psiche.santagostino.it/neuroplasticita-il-cervello-che-cambia-ed-evolve-a-tutte-le-eta/?utm_source=chatgpt.com
- https://www.neuroscienze.net/la-mente-nel-tempo/?utm_source=chatgpt.com
- https://www.avvenire.it/agora/pagine/malabou-la-plasticit-a-renderci-davvero-umani

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