IL PREGIUDIZIO: Come e dove si origina?

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Il pregiudizio è qualcosa con cui abbiamo inevitabilmente a che fare quotidianamente, che influisce sui nostri atteggiamenti e comportamenti e guida le nostre scelte.  Il termine “pregiudizio” deriva dal latino praejudicium, ovvero “giudicare prima”; nel corso della storia, però, questa parola ha assunto denotazioni differenti. Le definizioni di “pregiudizio” di cui disponiamo sono diverse e ognuna di esse mette in luce alcune piuttosto che altre delle molteplici peculiarità che caratterizzano tale concetto, ma quella più comunemente usata come punto di partenza e ancora oggi riportata sui manuali di psicologia sociale è la definizione di Allport (1954): “Il pregiudizio etnico è un’antipatia basata su una generalizzazione irreversibile e in mala fede. Può essere solo intimamente avvertita o anche dichiarata. Essa può essere diretta a tutto un gruppo come tale, oppure a un individuo in quanto membro di un gruppo”. La definizione è certamente datata, ma ancora molto attuale. Tuttavia, è bene specificare che, nonostante Allport si concentri sulla valenza negativa del termine poiché da lui ritenuta la più pericolosa, esistono anche pregiudizi di natura positiva (es. “Gli spagnoli sono conviviali”), i quali possono risultare altrettanto “pericolosi”. 

Ma da dove nasce il pregiudizio? Fu sempre Allport a intuire il ruolo determinante del contesto familiare e sociale nello sviluppo e nel mantenimento del pregiudizio nei giovani. Egli definisce la famiglia come il contesto privilegiato per la formazione e l’apprendimento di credenze, norme, valori, atteggiamenti, modelli e anche pregiudizi. La famiglia è infatti il primo agente di socializzazione, processo attraverso cui le giovani generazioni acquisiscono dalle precedenti il patrimonio simbolico accumulato sino ad allora; questo bagaglio culturale racchiude i modi di pensare, di sentire e di agire propri del micro e del macrosistema.  La socializzazione si distingue in:

  • Primaria: fase di apprendimento, che coincide con l’infanzia, in cui l’individuo si abitua a fronteggiare le richieste della società.
  • Secondaria: fase di sviluppo, che coincide con l’età adulta, in cui l’individuo acquisisce la capacità di adattarsi alle aspettative degli ambienti sociali e dei gruppi con cui ha a che fare.

La famiglia, così come, in un secondo momento, la scuola e il gruppo dei pari, ha l’arduo compito di mediare tra l’individuo e l’ambiente socioculturale che lo circonda. Non c’è dunque da stupirsi che i genitori ricoprano un ruolo chiave nello sviluppo dei pregiudizi nei bambini. Nella trasmissione di valori e credenze intervengono alcune variabili familiari di cui è bene tenere conto:

-Il genere: madre e padre giocano ruoli differenti nella trasmissione di norme e valori e questi ruoli variano a loro volta in funzione del genere dei figli. In particolare, possiamo individuare tre tendenze: 

  • Congruenza di generi: i figli acquisiscono più facilmente credenze e atteggiamenti pregiudiziali dal genitore dello stesso sesso.
  • Equivalenza dei genitori: se c’è una corrispondenza negli atteggiamenti di madre e padre, è più probabile che i figli acquisiscano tali atteggiamenti.
  • Effetti differenziali: madre e padre hanno sfere di influenza diverse per quel che riguarda lo sviluppo psicologico del figlio e sembra che le madri abbiano un ruolo di maggiore influenza nella trasmissione di pregiudizi e stereotipi.

-Il clima familiare: Schonpflung (2001) afferma che un clima di apertura, affidabilità, lealtà e credibilità favorisce la trasmissione intergenerazionale, mentre un clima autoritario comporta una minore adesione del figlio ai valori del genitore. Secondo la Teoria della personalità autoritaria (Adorno, 1950) un autoritarismo rigido e repressivo nell’educazione genitoriale non consente ai figli il normale sfogo delle pulsioni con il conseguente sviluppo di intolleranza verso chi non rispetta i propri canoni di ordine.

L’ordine di genitura: i genitori tendono ad avere maggiori aspettative verso i primogeniti, i quali combattono per tutta la vita con il proprio senso di inferiorità dovuto alla perdita della posizione privilegiata di figlio unico (Adler).

Secondo Allport lo sviluppo del pregiudizio nei bambini si basa su due fattori:

-Apprendimento interpersonale diretto, che si attua quando i genitori manifestano esplicitamente il proprio punto di vista rispetto a membri di determinati outgroup: i bambini associano le etichette connotative apprese a un’emozione e generalizzano tale associazione a interi gruppi.

-Conformità, che si verifica nel momento in cui il bambino, identificatosi con il gruppo familiare e consapevole delle norme, dei valori e delle credenze propri dell’ingroup, mette in atto comportamenti coerenti con ciò che la famiglia si aspetta.

Bandura (1977) nella sua Teoria dell’apprendimento sociale parla invece di modellamento: il comportamento è appreso tramite l’esperienza diretta e l’imitazione della condotta genitoriale osservata. Viceversa, il contributo della psicologia dello sviluppo cognitivo ci dà tutt’altra prospettiva: secondo esponenti quali Piaget, Katz e Abound il pregiudizio nei bambini risulta essere inevitabile in quanto derivante da processi normali e fondamentali dello sviluppo cognitivo. In età prescolare i bambini sono autocentrati e ancora non hanno acquisita la capacità di guardare il mondo con occhi diversi dai propri e di cogliere le molteplici sfaccettature della realtà; sarà solo con la maturazione cognitiva che il bambino potrà comprendere la similarità tra gruppi distinti e la diversità all’interno di un medesimo gruppo. Nella prospettiva cognitiva, dunque, il pregiudizio dipenderebbe, più che dall’ambiente sociale, dalle competenze cognitive del bambino. 

Per quanto concerne il legame fraterno, in letteratura troviamo pochi contributi. L’esperienza fraterna alterna intensi sentimenti d’amore a vissuti di rivalità e conflittualità (Scabini e Iafrate, 2003): quando il rapporto è positivo c’è alleanza, solidarietà e comprensione reciproca, mentre in caso opposto si sviluppano antagonismo, competizione e discordia. La qualità del legame fraterno dipende principalmente dal clima che i genitori hanno saputo sviluppare. Secondo alcune ricerche condotte all’interno dell’Università Cattolica di Milano la correlazione del pregiudizio tra fratelli è statisticamente significativa, anche più di quella tra genitori e figli. La correlazione risulta maggiore in funzione di alcuni fattori, quali:

  • Vicinanza di età: l’essere coetanei comporta maggiore condivisione ed è più probabile che si aderisca a valori simili, mentre con i genitori, esponenti della generazione precedente, si percepisce una distanza ancora più grande.
  • Rapporto positivo di solidarietà e condivisione tra fratelli.
  • Delega delle cure parentali al fratello maggiore da parte dei genitori.

Inoltre, se il clima familiare è positivo, non bisogna sottovalutare l’effetto del “contatto esteso in famiglia” (Wright et al., 1997): il solo fatto di sapere che un membro del proprio ingroup ha un atteggiamento positivo verso un membro dell’outgroup può ridurre il pregiudizio (es. il figlio / fratello ha un amico straniero). Tuttavia, oltre alle peculiarità che caratterizzano ogni legame familiare, è importante considerare anche l’intreccio che si viene a creare tra familiare e sociale: il nucleo familiare non si colloca in un vuoto sociale ma in un complesso intreccio di sistemi socioculturali che si influenzano a vicenda.  Oltre alla famiglia esistono altre agenzie di socializzazione, come la scuola e tutti gli ambienti socioeducativi, per non parlare dell’enorme influenza generata dal gruppo dei pari, soprattutto in età adolescenziale. In alcuni casi la famiglia tenta di limitare l’influenza del sociale attraverso strategie che Goodnow (1997) definisce di pre-arming, che consiste nel cercare di creare un netto confine tra ciò che è interno e ciò che è esterno alla famiglia, e di cocooning, cioè il tentativo di allontanare le influenze provenienti dall’esterno trasmettendo ai figli l’orgoglio della propria appartenenza socioculturale. Ma tra le famiglie e il contesto sociale in cui queste sono immerse vige inevitabilmente un processo di continuo e reciproco scambio e di mutua influenza. Inoltre, bisogna considerare che attualmente la famiglia sta affrontando cambiamenti di natura sostanziale e che lo scenario socioculturale in cui i genitori si trovano ad agire è sempre più indefinito: dalla famiglia delle regole si è passati alla famiglia degli affetti, caratterizzata da un eccessivo permissivismo da parte dei genitori, i quali, per paura di perdere l’affetto dei figli, mancano spesso di autorità.

In conclusione, sono molti i fattori (familiari, sociali, culturali, etc.) che entrano in gioco nelle dinamiche pregiudiziali e si rende perciò necessario un intervento su più fronti che coinvolga tutti gli agenti di socializzazione che hanno un ruolo nello sviluppo di bambini e adolescenti (famiglie, scuole, oratori, quartieri, città, stato, governo) e che tenga conto delle molteplici variabili intervenienti. Come afferma Allport (1954): “Non può esservi una soluzione unica, ma occorre intervenire contemporaneamente su più fronti. Se un solo intervento non produce effetto, più interventi contemporanei potranno produrre buoni risultati”.

Irene Civitillo

ire.civi@gmail.com

Bibliografia

  • Aboud F. (1988), Children & Prejudice, Basil Blackwell, New York.
  • Adorno T.W. (1963), La personalità autoritaria, Edizioni di comunità, Milano.
  • Alfieri S. (2013), La natura (familiare) del pregiudizio, Scuola di Dottorato in Psicologia dell’Università Cattolica di Milano.
  • Bandura A. (1977), Social Learning Theory, General Learning Press, New York.

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