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The topic of substance use is highly important, both in psychology and, perhaps even more, in everyday life. Worldwide, over a billion people are dependent on nicotine, more than 100 million on alcohol, over 5 million on marijuana, and more than 28 million on illicit drugs, in addition to prescription medications. Beyond traditional drugs, technology addiction has also become increasingly widespread in recent years: today, about 27% of the world’s population is addicted to smartphones — roughly one in three people.
Despite the prevalence of these addictions, human drug use is almost as old as humanity itself. We first encountered alcohol through fermented fruit, and indigenous civilizations cultivated or domesticated tobacco and coca plants long before European contact.
It is surprising, however, that despite the widespread nature of this issue and its effects on health, the mechanisms behind addiction are still not fully understood. While research has explored the neuropsychological and brain-related aspects, including the role of dopamine and reward circuits, social and personality factors that influence addiction remain unclear. Why do some people develop dependence after trying a substance while others do not? What drives experimentation? And perhaps most strikingly, even though addiction has long been recognized as a disease, it is still stigmatized, criminalized, and seen as a personal or moral failure rather than a medical condition.
One concept that can help explain why some people are more prone to experimenting with substances — and which may also help reduce stigma — is novelty seeking. Novelty seeking (NS) is the tendency to desire new stimuli and experiences. It is a temperamental trait, characterized by high impulsivity, exploratory behavior, extravagance, and disorderliness. NS is closely linked to positive emotions and sensation seeking, and like sensation seeking, it is heritable. In humans, it is usually measured through questionnaires.
What makes NS especially interesting is that it is connected both to intelligence and to the tendency to experiment with substances. Intuitively, the desire for new experiences and emotions drives some people to try drugs. Individuals with higher NS are often more prone to boredom and report curiosity and pleasure as key motivations for starting substance use, as well as the desire to maintain these experiences as the reason for continuing. Many studies have identified NS as one of the most important personality traits associated with experimenting with and using psychoactive substances.
NS is also linked to intelligence, particularly through the personality trait of openness to experience. People with higher intelligence tend to value novelty and new experiences more, score higher on sensation seeking questionnaires, and even show a preference for novel stimuli as children, which is associated with higher intelligence later in life.
One theory that attempts to explain the link between intelligence, substance use, and novelty seeking is the Savanna-IQ Interaction Hypothesis. Derived from evolutionary psychology, this hypothesis suggests that more intelligent individuals are better able to understand and deal with evolutionarily novel situations — that is, situations or behaviors that were uncommon or absent in ancestral environments. As a result, these individuals are more likely to adopt lifestyles, make choices, and develop preferences that were not present in the past.
Satoshi Kanazawa, who proposed this hypothesis, also considers substance use as an evolutionarily novel behavior. While humans encountered alcohol, tobacco, and other psychoactive plants thousands of years ago, what is new today is the quantity, composition, and method of use — for example, fermented fruits consumed by our ancestors contained at most 5% alcohol.
To test this hypothesis, Kanazawa conducted two large-scale longitudinal studies, one in England and one in the United States. Children were tested for intelligence at school age and later completed questionnaires about alcohol, tobacco, and illicit substance use. Both studies showed that individuals with higher intelligence used psychoactive substances more frequently than their peers — even when controlling for factors like sex, religion, ethnicity, and social class. Intelligence emerged as the strongest predictor of substance use, a finding supported by other studies as well. These findings provide a starting point for further research into personality traits and individual differences that lead to substance use. They also offer a way to challenge the stigma around addiction. Addiction is a medical condition, not a matter of willpower or personal choice — and at this point we can affirm that it is certainly not a matter of intelligence.
Traduzione in italiano:
Intelligenza, Novelty Seeking e uso di sostanze: cercando di andare oltre lo stigma
Il tema dell’uso di sostanze è un tema di grande importanza, sia nell’ambito della psicologia ma forse ancora di più in quello della vita di tutti i giorni. Nel mondo più di un miliardo di persone sono dipendenti da nicotina, più di 100 milioni sono dipendenti da alcool, più di 5 da marijuana e più di 28 milioni da sostanze illecite, oltre che da farmaci da prescrizione. Oltre alle sostanze comunemente definite come droghe, negli ultimi anni con l’avvento delle nuove tecnologie si è diffuso sempre di più anche il problema della dipendenza tecnologica: attualmente nel mondo il 27% della popolazione è dipendente dallo smartphone — circa un terzo di tutte le persone sul pianeta.
Nonostante il diffondersi di queste nuove dipendenze, il consumo di droga da parte degli esseri umani è datato quasi quanto l’umanità stessa: siamo venuti a contatto con l’alcol per la prima volta tramite l’ingestione di frutta fermentata. Piante di tabacco e coca venivano coltivate o addomesticate dalle civiltà indigene da ben prima del contatto con gli europei.
E’ sorprendente però che, data la portata di questo tema, la sua diffusione e gli effetti sulla salute, i meccanismi sottostanti la dipendenza non siano ancora del tutto chiari. O meglio, mentre ci sono state molte ricerche sul versante neuropsicologico e cerebrale, e sul ruolo della dopamina e dei circuiti della ricompensa, i fattori sociali e di personalità che possono influire non sono ancora del tutto chiari. Perché certe persone dopo aver provato una sostanza sviluppano una dipendenza ed altre no? Quali sono i fattori che spingono alla sperimentazione? E, allo stesso tempo, è ancora più sorprendente che nonostante la dipendenza sia stata da lungo tempo riconosciuta come una malattia, viene ancora criminalizzata, stigmatizzata e considerata come un fallimento, personale e morale, invece che come una condizione clinica.
Un concetto che ci aiuterà a capire, almeno in parte, perché certe persone sono più prone a sperimentare sostanze (e che, auspicabilmente sarà anche in grado di ridurre un po’ lo stigma attorno al tema) è quello di novelty seeking. Il novelty seeking (NS) è definito come una tendenza a desiderare nuovi stimoli e nuove situazioni. E’ un tratto temperamentale ed è caratterizzato da alta impulsività, comportamento esplorativo, stravaganza e disordine. E’ strettamente correlato all’emozionalità positiva e al sensation seeking (SS), e come il sensation seeking è ereditabile. Negli esseri umani viene solitamente misurato tramite questionari. Ciò che è davvero interessante per noi qui è il fatto che il NS sia legato, da un lato, all’intelligenza, e dall’altro alla tendenza a sperimentare droghe. Intuitivamente, il desiderio di vivere nuove esperienze e provare nuove emozioni è uno dei motivi dietro la sperimentazione di droghe; inoltre le persone con un più alto livello di NS sono solitamente più suscettibili alla noia. Questi individui hanno spesso riportato curiosità e piacere come le motivazioni che li hanno portati ad iniziare ad assumere sostanze, e la voglia di mantenere queste sensazioni come ciò che li ha fatti continuare. Diversi studi hanno riportato che il NS sia uno dei tratti di personalità più significativi nella sperimentazione e nell’uso di sostanze psicoattive.
Allo stesso tempo però il novelty seeking è legato all’intelligenza, soprattutto per la sua correlazione con il tratto dell’openness (apertura mentale). Le persone più intelligenti tendono a valorizzare maggiormente novità e nuove esperienze, e nei questionari hanno punteggi di sensation seeking più alti; preferenze per stimoli nuovi in infanti e bambini sono correlati a livelli di intelligenza più alti successivamente.
Una teoria che ha provato a spiegare la relazione tra i temi dell’intelligenza, uso di sostanze e novelty seeking è la Savanna-IQ Interaction Hypothesis. Derivante dalla psicologia evoluzionistica, questa ipotesi afferma che le persone con un più alto livello di intelligenza siano più in grado di comprendere ed avere a che fare con eventi ed entità considerate evolutivamente nuove, rispetto a persone con un IQ più basso. Così questi individui tenderanno ad adottare stili di vita, fare scelte e avere preferenze che non esistevano negli ambienti ancestrali.
Satoshi Kanazawa, l’ideatore di questa ipotesi, tratta anche il consumo di sostanze come una novità evolutiva. Nonostante, come affermato all’inizio, l’uomo sia venuto a contatto con alcol, tabacco ed altre piante psicoattive decine di migliaia di anni fa, ciò che è nuovo oggi sono quantità, composizione e metodo di consumo di queste sostanze (ad esempio, i frutti fermentati consumati dai nostri antenati avevano al massimo il 5% di alcol). Volendo poi testare questa ipotesi, ha condotto due studi longitudinali su larga scala, uno in Inghilterra e uno in America. Ragazzi e ragazze sono stati sottoposti a test d’intelligenza in età scolare e successivamente a dei questionari sul consumo di alcol, tabacco e altre sostanze illecite dopo alcuni anni. Entrambi gli studi hanno dimostrato che coloro con livelli di intelligenza più alti consumavano sostanze psicoattive di più e più spesso rispetto ai loro coetanei — e questo al netto di tutte le altre differenze individuali come sesso, religione, etnia o classe sociale. L’intelligenza era quindi il fattore più incidente sul consumo di sostanze; e diversi studi, precedenti e successivi, hanno prodotto risultati simili.
Queste considerazioni e questi studi possono essere un punto di partenza per, da un lato, approfondire le ricerche sui tratti di personalità e le differenze individuali che portano all’assunzione di sostanze, e dall’altro per cercare di decostruire lo stigma che ancora grava su queste persone. La dipendenza infatti è una malattia, non una questione di forza di volontà o di scelte personali — e a questo punto possiamo affermare che sicuramente non è una questione di intelligenza.
Antonia Maran
antonia.maran.1@studenti.unipd.it
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