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“Decidere” è un’azione che compenetra la nostra quotidianità: è un’attività spontanea, alla quale raramente prestiamo attenzione, se non posti di fronte a una decisione importante. Seppur quotidiana, prendere decisioni risulta essere un’attività molto complessa in cui intervengono differenti elementi. Il processo decisionale, infatti, può essere considerato come il risultato di operazioni mentali, sia cognitive che emozionali, le quali determinano la selezione di una linea d’azione tra diverse alternative: ogni decisione si concretizza in una scelta finale (Bonini, 2004). Quando siamo chiamati a prendere una decisione importante, ecco che la complessità del processo decisionale si fa sentire più forte e spesso, di fronte a scelte che pongono due alternative, il dubbio che si fa largo tra i nostri pensieri è: scegliere con la testa o con il cuore? Seguire la ragione o l’istinto? Può capitare di imbattersi in questi quesiti, interessanti quanto complessi, frutto della comune concezione che vede contrapposti ragione e istinto, due antagonisti nella conquista del potere decisionale.
Il conflitto mente-cuore, però, sembra essere un falso problema, o meglio, non correttamente espresso. Facciamo un passo indietro: di fatto, usiamo il termine “cuore”, che fin dall’antichità è concepito come sede delle emozioni, per riferirci a una decisione più istintiva, connotata emotivamente, anche definita “di pancia”, che si colloca in posizione diametralmente opposta alla ragione. Ma la concezione romantica che contrappone razionalità ed emozionalità non rende giustizia al comportamento reale di scelta. Infatti, un’ampia gamma di ricerche mostra la forte compenetrazione tra sistemi emotigeni e sistemi di ragionamento; nel corso degli ultimi decenni la psicologia ha superato un punto di vista eccessivamente razionalista e astratto, secondo il quale le emozioni siano meri disturbi del funzionamento cognitivo, da cui l’individuo debba proteggersi. Le neuroscienze cognitive riconoscono un ruolo prioritario all’interno del processo decisionale alle componenti emotive, intese come sistema di valutazione; le emozioni possono essere capaci di orientare verso le decisioni più utili all’individuo, in quel dato momento (Bellelli, 2008).
Ma allora qual’è la differenza tra le scelte più razionali e quelle prese istintivamente? Nonostante questo chiarimento iniziale sulla dicotomia mente e cuore, va riconosciuta la presenza di due modalità differenti che guidano il nostro comportamento di scelta, due sistemi per prendere decisioni, che sono sì distinti, ma non in guerra. La recente letteratura sostiene una visione del processo decisionale influenzato dalla presenza di due diversi sistemi che rappresentano modalità di elaborazione delle informazioni qualitativamente differenti (Castelfranchi, Giardini e Marzo, 2006). Questa prospettiva considera il ragionamento come un processo a due componenti ed è sostenuta da diverse teorie di tipo dual process (Epstein, 1994; Sloman, 1996; Evans e Over, 1996). Tra le principali dicotomie nella storia dello studio del pensiero incontriamo la prospettiva proposta da Bruner (1960), che differenzia il “pensiero ragionativo” dal “pensiero intuitivo”. Il primo, anche detto pensiero analitico, procede un passo alla volta con la quasi completa padronanza delle informazioni e delle operazioni mentali coinvolte; può fondarsi su accurati ragionamenti deduttivi, spesso si avvale di strumenti logici o matematici e ricorre a piani d’azione espliciti. Invece, il pensiero intuitivo non procede in base ad un piano preorganizzato e preciso, ma raggiunge una risposta, giusta o sbagliata che sia, pur essendo completamente, o quasi, all’oscuro dei processi che lo hanno portato alla soluzione. In quest’ottica, numerose evidenze empiriche mostrano l’esistenza di una modalità decisionale intuitiva e connotata emotivamente posta accanto alla modalità analitica di tipo prettamente cognitivo (Haidt, 2001; Hanoch e Vitouch, 2004; Wang, 2006). Il primo sistema è appunto quello analitico (Slovic et al., 2002), talora denominato anche deliberativo (Hogarth, 2001) o razionale (Epstein, 1994): esso procede intenzionalmente guidato dalla logica sequenziale-lineare, è consapevole e richiede tempo ed impegno. Al contrario il secondo sistema, quello emotivo, anche chiamato intuitivo, esperienziale (Slovic et al., 2002) o tacito (Hogarth, 2001) è attivato in modo automatico, senza richiesta di sforzo cognitivo, consente più operazioni in parallelo, è pragmatico, olistico e veloce.
Ed ecco quindi che il famoso quesito mente-cuore evolve in “quale sistema mi porta alla scelta giusta?”. In realtà, nel processo decisionale, non esiste un sistema migliore di un altro; non esiste una modalità “giusta” a priori, ma a seconda del contesto, risulta più funzionale l’utilizzo del primo sistema piuttosto che del secondo. Il pensiero analitico è più efficiente in condizioni stabili, con ampia disponibilità di tempo e in cui i criteri di valutazione applicati alle opzioni sono chiari ed univoci (Bellelli e Di Schiena, 2012); tuttavia, a causa della sua lentezza e dell’eccessivo carico cognitivo che comporta, non è sempre ottimale. Dover confrontare rigorosamente pro e contro di una situazione nella quale occorre operare tempestivamente risulta chiaramente poco vantaggioso. Il sistema intuitivo, invece, risulta maggiormente efficace quando all’individuo è richiesto di prendere una decisione in condizioni di complessità, che richiedono di considerare più elementi simultaneamente, e sotto pressione temporale (Finucane at al., 2000; Payne, Bettman e Johnson, 1988).
Queste due modalità decisionali non devono perciò essere considerate come processi contrapposti, tra loro in conflitto, ma piuttosto come sistemi cooperanti per raggiungere il fine condiviso dell’adattamento all’ambiente (Hastie, 2001). È necessario considerare il comportamento decisionale in equilibrio dinamico tra il sistema analitico e quello intuitivo, i quali possono integrarsi a seconda della necessità contingenti (Balconi e Lucchiari, 2006).
Di Camilla Villa
camilla.villa03@icatt.it
Bibliografia
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