WHEN THEY SEE US: Suggestione da manuale

Tempo di lettura 5 minuti

When They See Us è una miniserie televisiva diretta da Ava DuVernay, rilasciata nel 2019 e che ripercorre gli eventi relativi al “Caso della jogger di Central Park” del 1989. Al centro della produzione sono le storie dei cosiddetti “Central Park Five” (Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam, Korey Wise e Raymond Santana), i cinque adolescenti, quattro afroamericani e uno latino-americano, che furono condannati e reclusi (ingiustamente) per l’aggressione e lo stupro ai danni di Trisha Meili, donna bianca ventottenne, mentre ella faceva jogging a Central Park la sera del 19 aprile 1989 (per un approfondimento sulla cronaca del caso si consiglia, oltre alla visione della miniserie, la lettura di “La vera storia dei Central Park Five”, reperibile qui).

Si tratta di una serie che fornisce sicuramente numerosissimi spunti di riflessione, da temi quali il razzismo sistemico, i diritti dei minori in ambito giudiziario, l’impatto dell’esperienza carceraria sugli individui, fino a questioni più normative come la pressione del gruppo dei pari. Questo articolo si propone, però, di mettere in evidenza la scorretta gestione degli interrogatori subiti dai ragazzi nel corso del primo episodio. Una gestione, quella mostrata, tanto scorretta che le domande utilizzate potrebbero benissimo essere inserite in un manuale per “suggestionatori”. 

Cos’è la suggestionabilità? Ceci e Bruck (1993), con una definizione più ampia e aggiornata rispetto a quelle elaborate precedentemente, la definiscono come “il grado in cui la codifica, la registrazione, il recupero e la relazione degli eventi da parte dei bambini possono essere influenzati da una gamma di fattori sociali e psicologici”. Essa ben mette in evidenza la doppia direzione che lo scambio di informazioni assume durante un’intervista: pur essendo lo scopo ultimo quello di raccogliere informazioni provenienti dall’intervistato, è inevitabile che anche l’intervistatore trasmetta, più o meno consapevolmente, delle informazioni (relative alle sue aspettative, a ciò che può apparirgli nuovo oppure credibile) (Flammer, 1981). L’intervista diventa così una sorta di processo di apprendimento per l’intervistato (Underwager & Wakefield, 1990), il quale viene più o meno influenzato in base alla quantità e alla qualità delle informazioni contenute nelle domande.

Ci si può chiedere, allora, quali sono le domande maggiormente suggestive? Pur non essendo possibile una comparazione di dati tale da consentire una gradazione precisa su suggestività delle diverse tipologie di domanda, alcuni autori hanno cercato di operare una distinzione tra domande ad alta e bassa suggestionabilità. Seguendo l’elaborazione di Endres (1997), le domande con il più basso grado di suggestionabilità sono le domande aperte, nelle quali non vi sono espressioni che lascino trasparire l’opinione e le aspettative dell’intervistatore. Negli interrogatori del primo episodio possono invece essere individuate alcune tipologie di domande ad alta suggestionabilità:

  • Domande inducenti con premesse: “Where did you see the lady?”, in cui viene presentato un termine di conoscenza che non si era ancora presentato nelle risposte dell’intervistato, in questo caso l’esistenza di una donna, tanto che la risposta del ragazzo è “Who… What lady?”
  • Feedback negativi: “Why was everybody but you, Yusef, randomly beating up innocent people?”, in cui viene usato il sarcasmo per esprimere l’incredulità di fronte alle risposte dell’interrogato
  • Promesse e minacce: “You tell the truth, you clear things up, we send you home, okay?”, la forma di suggestione più chiara, che opera attraverso rinforzi positivi o negativi e che, per quanto ovvia, è stata rilevata con una certa frequenza nelle trascrizioni di interrogatori di polizia e periti di tribunali (Ceci e Bruck, 1995)

Queste tipologie di domande ed espressioni si ripetono più volte nel corso dei cinque interrogatori e, a queste forme più “fini” di suggestione, si aggiungono anche altri fattori e azioni determinanti. Tutti i ragazzi portati alla stazione di polizia erano, infatti, reduci da una notte insonne passata in una stanzetta seduti a dei banchi. Forte era anche l’influenza dell’autorità che i poliziotti bianchi esercitavano su quei quattordicenni e quindicenni neri, ragazzi che probabilmente sin da piccoli erano stati educati ad assecondare i poliziotti per evitare di suscitare reazioni violente (“You got to say what they want you to say […] Tron, this police will mess us up”, dice ad Antron McCray suo padre, dopo aver scambiato due parole con il detective). I detective che conducevano gli interrogatori non si trattengono assolutamente dall’usare anche la violenza sugli adolescenti, atti di una gravità tale che altre violazioni come l’essere interrogati in assenza di un genitore o un tutore, passano decisamente in secondo piano. La suggestione raggiunge livelli tali che i ragazzi arrivano a costruire intere storie, totalmente fittizie, sotto la guida dei detective, accusandosi a vicenda e fornendo dettagli che non potevano in nessun modo conoscere.

In questo caso, certamente estremo, i pregiudizi e gli errori del corpo di polizia hanno determinato un effetto a cascata che ha avuto un impatto importante e deleterio sulle vite dei giovani ragazzi: a partire dallo stress determinato dall’essere coinvolti in un processo, con anche la pressione mediatica che ne è conseguita, fino all’essere detenuti, condizione che rappresenta un fattore di rischio per la vita futura, sia per le difficoltà nella vita sociale e lavorativa, sia per il potenziale criminogeno del contatto con individui che hanno commesso crimini di diversa natura.

In conclusione, si può sottolineare l’importanza dell’attenzione che deve essere prestata da chi si occupa di ascolto del minore, il quale per il suo livello di sviluppo cognitivo ed emotivo si trova in una situazione di particolare vulnerabilità di fronte alle pressioni e ai condizionamenti che possono essere esercitati da adulti e coetanei che, con le loro parole e azioni, rischiano di “contaminare” i ricordi dei giovani intervistati.

Letizia Aquilino

Letizia.aquilino01@icatt.it

BIBLIOGRAFIA:

Ceci, S. J., & Bruck, M. (1993). Suggestibility of the Child Witness. A Historical Review and Synthesis. Psychological Bulletin, 113, 403-439.

Ceci, S. J., & Bruck, M. (1995). Jeopardy in the courtroom: A scientific analysis of children’s testimony. American Psychological Association, Washington DC.

Endres, J. (1997). The suggestibility of the child witness: the role of individual differences and their assessment. The Journal of Credibility Assessment and Witness Psychology, 1 (2), 44-67.

Flammer, A. (1981). Towards a theory of question asking. Psychological Research, 43, 407-420.

Underwager, R., & Wakefield, H. (1990). The real world of child interrogations, Charles C Thomas, Publisher, Springfield IL.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Crea un sito web o un blog su WordPress.com