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The Terminal è un film del 2004 diretto da Steven Spielberg nel quale Tom Hanks interpreta il ruolo del protagonista, sotto il nome di Viktor Navorski. Il film è ambientato all’interno dell’aeroporto J.F. Kennedy di New York, dove Viktor atterra dalla Krakozhia (luogo immaginario) che, in seguito a un colpo di stato, ha istituito un nuovo regime non ancora riconosciuto dagli Stati Uniti. Questa condizione lo rende apolide, egli infatti è obbligato a stabilirsi all’interno dell’aeroporto in cui dorme, mangia e trascorre le sue giornate.
Quest’ultimo è la rappresentazione ideale di un ‘nonluogo’ (termine francese ideato dall’antropologo Marc Augé e reso noto attraverso la pubblicazione, nel 1992, del suo libro: ‘Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità’): espressione che fa riferimento a quegli spazi in cui migliaia di individui entrano in contatto gli uni con gli altri senza però instaurare una vera relazione fra di loro. Questi sono un prodotto altamente rappresentativo della surmodernità (o sovramodernità), altro neologismo introdotto all’interno del libro.
L’autore intende descrivere la nostra epoca come una società sregolata, insaziabile e colma di eccessi, all’interno della quale l’umanità si trova a dover fronteggiare le problematiche del ‘triplo eccesso’ o ‘tripla accelerazione’. Ci sono tre aree in cui l’uomo moderno vive una situazione di particolare “eccedenza”:
- eccesso di tempo: facciamo fatica a stare dietro al flusso strabordante di eventi, informazioni ed invenzioni che sono prodotti ogni giorno. Non si fa in tempo a metabolizzarli e ad interiorizzarli che sono già stati superati. È dunque quasi impossibile stare al passo: il solo esistere nel presente significa vivere in una condizione di ritardo perenne,
- eccesso di spazio: si verificano due fenomeni apparentemente contrapposti. Da una parte lo spazio intorno a noi sembra starci stretto, per via dei mezzi di trasporto oggi disponibili che sembrano azzerare le distanze, dall’altra il mondo si sta piano piano aprendo rendendosi sempre più disponibile alla conoscenza e all’esplorazione umana,
- eccesso dell’ego: l’individuo si considera un universo a sé, chiuso e completo, ritenendo inutile qualsiasi aiuto dall’esterno. Ogni azione è finalizzata ad accrescere e a valorizzare la propria individualità anche a discapito della collettività.
All’interno del film, queste dinamiche della società surmoderna sono rappresentate molto bene. La frenesia e la fretta dirigono l’aeroporto ma Viktor non sembra sentire particolarmente queste pressioni. Come se venisse da un’altra epoca, i suoi tratti distintivi sono la tenerezza, l’ingenuità e la gentilezza incondizionata, qualità che l’uomo contemporaneo sembra aver perso o addirittura disprezzare. Il suo personaggio pare soverchiare le regole del ‘nonluogo’: egli pone le persone al centro, ascoltando con l’interesse più sincero i loro pensieri, le loro esperienze e le loro storie.
A tal proposito, si può ricordare la scena in cui Navorski viene chiamato dal direttore della sicurezza dell’aeroporto per tradurre le parole di un uomo proveniente da un paese vicino alla Krakozhia. Quest’ultimo è andato in Canada per procurarsi delle medicine per il padre malato che non possono essere imbarcate senza le certificazioni che ne autorizzano il trasporto. Viktor, ricordandosi che questi documenti non sono richiesti per i medicinali destinati agli animali, cambia la sua traduzione da ‘padre’ in ‘capra’. L’uomo, a questo punto, non sta infrangendo nessuna legge e la sicurezza è obbligata a lasciarlo andare assieme a tutti i suoi bagagli. Il suo comportamento è estremamente atipico fra gli individui dell’aeroporto, i quali rivestono un ruolo puramente funzionale ovvero occuparsi del proprio impiego lavorativo e adempiere agli incarichi. Quindi è spontaneo che lo spettatore faccia il tifo per Viktor e di conseguenza disprezzi i suoi rivali, senza rendersi conto che questi ultimi sono molto vicini alla rappresentazione dell’uomo contemporaneo.
Il film si conclude senza il lieto fine sperato. Finalmente Navorski ha la possibilità di tornare a casa tramite i documenti ricevuti da Amelia, la donna di cui si è innamorato durante la sua permanenza. Questo generoso gesto nasconde un secondo fine: farlo partire il prima possibile, poiché la sua presenza ha già creato troppi scompigli. Sembra infatti che Amelia ricambi i sentimenti di Viktor, ma a quanto pare non abbastanza da partire insieme a lui ed interrompere le svariate relazioni con uomini sposati che intraprende durante i suoi viaggi.
La solitudine del protagonista sembra permanere dall’inizio del film sino alle ultime scene. Viktor stringe amicizie e alleanze con molti dipendenti dell’aeroporto, ma tutte queste sono di secondaria importanza rispetto al significato che egli dà al suo legame con Amelia. Egli tenta in ogni modo di iniziare una relazione con la bellissima hostess, ma sembrano purtroppo prevalere le regole del ‘nonluogo’ mantenendo una forte inospitalità per ogni tipo di rapporto che aspiri a diventare minimamente sincero e stabile.
La storia di Viktor, per quanto assurda, è ispirata a fatti realmente accaduti. Nel 1988 Mehran Karimi Nasseri, un rifugiato iraniano, atterra all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi e per una serie di sfortunati eventi rimane bloccato dentro. Il film presenta alcune differenze rispetto alla storia reale: Spielberg ha modificato il tempo di permanenza e la condizione psicologica. Il nostro protagonista rimane dentro il terminal per qualche mese in perfette condizioni; invece, Mehran passa 18 anni della sua vita lì dentro durante i quali perse la ragione e cambiò identità, incominciando a farsi chiamare Sir Alfred Mehran.
Solo nel 2006 uscirà a causa di un problema medico e verrà ricoverato alla Croce Rossa parigina.
Di Beatrice Martina Sutter
beatricemartina.sutter01@icatt.it
SITOGRAFIA:
Franceschini, I (2014). Iperrealtà, Modernità Liquida, Surmodernità. Prospettive sugli “eccessi” del postmoderno in Baudrillard, Bauman, Augé. https://www.tesionline.it/tesi/brano/surmodernit%C3%A0—l%E2%80%99epoca-dei-tre-eccessi/32743
Fontana, T. (2015, 18 settembre). The Terminal: il non luogo e le architetture dell’informazione. https://www.tonifontana.it/the-terminal-il-non-luogo-e-le-architetture-dellinformazione/#:~:text=Nel%20film%20%E2%80%9CThe%20Terminal%20%E2%80%9D%20succede,all’articolo%20sulle%20geografie%20emozionali.
Rota, M. Identità di luogo, la casa sono io. https://www.crescita-personale.it/articoli/crescita-personale/emozioni/identita-di-luogo-la-casa-sono-io.html
Appolloni, V. (2017, 21 febbraio). The Terminal: la storia vera che ha ispirato il film di Steven Spielberg. https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/the-terminal-storia-vera-film/
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