Le differenze di genere nell’esperienza della pareidolia facciale

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Ti è mai capitato di vedere un volto tra le nuvole oppure osservando un oggetto inanimato? Se la risposta è sì, allora hai sperimentato la pareidolia facciale, un’illusione che ci porta a distinguere volti anche quando in realtà non ci sono. Il termine “pareidolia” deriva dal greco “para” (impreciso) e “eidolon” (immagine) e, in un’accezione più ampia, si riferisce al fenomeno per cui crediamo di riconoscere qualcosa di significativo in stimoli ambigui (Zhou L.-F. and Meng M., 2021). 

Da una prospettiva neuroanatomica, esistono alcune aree cerebrali che reagiscono in maniera preferenziale ai volti, come l’area fusiforme e il giro occipitale, mentre altre aree che reagiscono principalmente alle proprietà degli oggetti, come ad esempio la corteccia occipitale laterale. Quando vediamo, ad esempio, un volto in un nodo del legno, il confine tra il riconoscimento dei volti e degli oggetti si confonde. Con l’illusione della pareidolia facciale il nostro sistema di riconoscimento dei volti ci sta segnalando un falso allarme: secondo una prospettiva evoluzionistica, il fatto di riconoscere troppo spesso dei volti anche quando non ci sono è un vantaggio, in quanto ci permette di non sottovalutare o ignorare una potenziale minaccia (Wardle S.G. et al., 2022).         
            Se prendiamo in considerazione il processo di elaborazione dello schema facciale, possiamo suddividerlo in due fasi principali: uno stadio iniziale, nel quale si attivano nel nostro cervello neuroni di regioni posteriori, e una fase successiva, durante la quale l’informazione viene inviata ad aree anteriori che sono maggiormente legate alla cognizione sociale.

Nel corso degli anni, alcuni studi si sono occupati di indagare se, nell’esperienza della pareidolia facciale, esistano delle differenze legate al genere di appartenenza.        
Una prima differenza tra maschi e femmine è emersa proprio nel processo stesso di elaborazione dei volti, studiato da un punto di vista neuroanatomico grazie alla tecnica del potenziale correlato all’evento (ERP): dai risultati emerge che nelle femmine si verifica una maggiore attivazione delle regioni cerebrali legate alle relazioni sociali e alla sfera affettiva, come ad esempio il giro temporale superiore, la corteccia orbito-frontale e la corteccia cingolata, sottolineando una maggiore tendenza all’antropomorfizzazione e una maggiore attribuzione di emozioni da parte del sesso femminile. 
Al contrario, nel cervello maschile, la percezione della pareidolia facciale risulta associata all’attivazione della regione occipito-parietale, con un’attivazione molto minore della corteccia orbito-frontale. Da questi risultati emerge quindi che il cervello femminile è maggiormente coinvolto negli affetti e nell’elaborazione sociale (Proverbio e Galli, 2016). In generale, inoltre, si ritiene che l’elaborazione dei volti sia dominante nell’emisfero destro, ma è interessante notare come le donne abbiano anche un grado di lateralizzazione inferiore rispetto agli uomini per la codifica facciale e l’elaborazione delle emozioni (Proverbio, Riva, Martin & Zani, 2010; Rahman & Anchassi, 2012).

Anche secondo un altro studio le donne sono molto più brave degli uomini nel trovare o riconoscere sembianze umane nelle forme della natura, a dimostrazione di quanto il cervello femminile sia più incline a individuare volti in stimoli ambigui. Nella ricerca sono stati coinvolti 26 soggetti (13 maschi e 13 femmine), a cui sono state fatte osservare le stesse immagini (volti, oggetti qualunque, oggetti che richiamano volti, animali), misurando la risposta del cervello alla percezione degli stimoli visivi grazie ad una cuffia con 128 elettrodi. I partecipanti, ignari dello scopo della ricerca, dovevano stabilire se le immagini ritraessero volti umani, oggetti che ricordavano volti oppure oggetti privi di qualsiasi relazione con uno schema facciale: dai risultati emerge che le donne hanno individuato “oggetti con un volto umano” più spesso degli uomini (Proverbio e Galli, 2016).  
Per indagare ulteriormente l’influenza del genere su questo fenomeno, in un altro studio sono state create una serie di immagini di piatti di cibo composti da ingredienti come frutta e verdura, i quali potessero assomigliare a volti. Gli studiosi hanno confermato una differenza di genere nella tendenza a riconoscere un volto in tali composizioni (Pavlova et al., 2015). Infatti, i risultati hanno mostrato che le donne adulte riferiscono di vedere un volto più facilmente rispetto agli uomini, i quali, invece, tendono a vedere solo una composizione di cibo, indicando quindi una superiorità del cervello femminile in termini di capacità di riconoscimento di volti.           
            Ma perché le femmine hanno un vantaggio nella percezione dei volti? Tale specificità di genere è probabilmente soggetta a modulazione culturale (Pavlova et al., 2018). Alcuni ricercatori hanno scoperto che, dal periodo dell’infanzia, le ragazze iniziano a mostrare un interesse più forte per i volti rispetto ai ragazzi, spendendo quindi più tempo a guardare i volti (Connellan, Baron-Cohen, Wheelwright, Batki, & Ahluwalia, 2000). Anche nelle donne adulte è emerso un interesse più marcato per aspetti sociali della vita quotidiana rispetto agli uomini (Su, Rounds, & Armstrong, 2009). È possibile quindi che la superiorità femminile nella cognizione del volto possa essere in parte spiegata proprio da una differenza nel livello di coinvolgimento sociale tra femmine e maschi. 

In conclusione, possiamo affermare che dai risultati presenti finora in letteratura, emerge una codifica differenziale del volto tra maschi e femmine e una preferenza da parte del genere femminile nei confronti di informazioni sociali, come ad esempio le espressioni facciali, a dimostrazione di un maggiore interesse da parte delle femmine verso le persone e le interazioni sociali.

Marianna Magistri

marianna.magistri01@icatt.it

Bibliografia

Connellan, J., Baron-Cohen, S., Wheelwright, S., Batki, A., & Ahluwalia, J. (2000). Sex differences in human neonatal social perception. Infant Behavior & Development, 23(1), 113–118.

Pavlova MA, Scheffler K, Sokolov AN (2015) Face-n-Food: Gender Differences in Tuning to Faces. Plos One 10(7): e0130363.

Pavlova, M. A., Heiz, J., Sokolov, A. N., Fallgatter, A. J., & Barisnikov, K. (2018). Even subtle cultural differences affect face tuning. Plos One, 13(6), Article e0198299.

Proverbio, A., Riva, F., Martin, E., Zani, A. (2010). Neural markers of opposite-sex bias in face processing. Frontiers in psychology, 1(10).

Proverbio AM, Galli J. Women are better at seeing faces where there are none: an ERP study of face pareidolia. Soc Cogn Affect Neurosci. 2016 Sep;11(9):1501-12. 

Rahman, Q., & Anchassi, T. (2012). Men Appear More Lateralized When Noticing Emotion in Male Faces. Emotion, 12(1), 174-179.

Su, R., Rounds, J., & Armstrong, P. I. (2009). Men and Things, Women and People: A Meta-Analysis of Sex Differences in Interests. Psychological Bulletin, 135, 859-884.

Wardle, S. G., Paranjape, S., Taubert, J., & Baker, C. I. (2022). Illusory faces are more likely to be perceived as male than female. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 119(5).

Zhou, L.-F., Wang, K., He, L., & Meng, M. (2021). Twofold advantages of face processing with or without visual awareness. Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance, 47(6), 784–794.

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